Abbiamo letto gli aggiornamenti de “La spalletta” relativi al caso di femminicidio verificatosi a Castelnuovo Val di Cecina di recente. Purtroppo, come accade di frequente anche nei giornali a grande tiratura nazionale, il linguaggio utilizzato per raccontare casi di questo genere, si rivela inadeguato e ingannatore. Ancora una volta infatti, tra le righe che raccontano una tremenda confessione, emerge la parola raptus per descrivere un gesto che ha portato all’uccisione di una donna da parte di un uomo a lei vicino.
Raptus sta ad indicare un gesto di follia, un’improvvisa, inaspettata e temporanea perdita di lucidità dell’uomo, magari anche “provocata” da un comportamento o una frase della donna. E invece non stiamo parlando di follia, e nemmeno di temporanee perdite di controllo: i casi di femminicidio sono infatti caratterizzati da un crescendo di tensione, da segnali di allarme che portano spesso la donna a chiedere aiuto a conoscenti ed amici, anche alle forze dell’ordine, insomma da condizioni che poco hanno a che vedere con un gesto improvviso di follia. Nella lotta alla violenza sulle donne anche i giornalisti e comunicatori in genere hanno un ruolo fondamentale nel raccontare con le parole giuste e rispettose un dramma come quello di una donna uccisa cruentemente dal suo uomo o da colui che è stato suo compagno per un periodo della sua vita, magari anche il padre dei suoi figli. Le parole sono importanti per far conoscere un fenomeno che non è isolato né lontano da noi, non è il risultato di patologie specifiche o di gesti di follia. Se parliamo di follia, di gesti incontrollati, di malattie mentali, diamo la falsa impressione che non si possa fare nulla per arginare o semplicemente per aiutare una persona coinvolta in situazioni di violenza all’interno delle mura domestiche. E invece molto si può fare: riconoscere la drammatica “normalità” di questi fatti, accettare che si possono verificare anche vicino a noi, sono passi importanti. E su questo, possiamo essere aiutati anche dalle parole che si usano per raccontare queste storie.
Per cui, per favore, smettetela di chiamarlo raptus.