Quando ha luogo un femminicidio spesso la notizia arriva come un fatto di cronaca avvenuto da qualche parte lontano e che riguarda persone non conosciute. Ma accade a volte che una donna venga uccisa dal proprio compagno in un piccolo paese di provincia, in cui tutti conoscono sia l’assassino che la vittima: colleghi e colleghe di lavoro, amici, maestre e compagni di scuola di figli e figlie. In questo caso la parola “femminicidio” diventa improvvisamente reale e non solo una parola letta distrattamente sulla civetta del quotidiano o che si sente evocare in occasione delle celebrazioni del 25 novembre.
Quello che è accaduto a Monterotondo Marittimo (Gr) il 12 agosto ci riguarda da vicino: nel nostro territorio ancora una volta un uomo uccide la sua compagna, Silvia, in modo premeditato e cruento. Silvia era madre di due figli, anche loro vittime di questa tragedia. Ci chiediamo ancora una volta come sia stato possibile, se niente avrebbe mai lasciato immaginare che potesse accadere una cosa simile. In questi momenti iniziamo a comprendere che la violenza nelle relazioni affettive puoÌ riguardare chiunque, che non è così lontana ma bensì qualcosa di profondamente radicato nella nostra cultura.
Come associazione del territorio che da più di 10 anni lavora per il contrasto alla violenza sulle donne, ci uniamo all’appello diffuso dal Centro Antiviolenza Olympia De Gouges di Grosseto che invita le donne a rivolgersi ai CAV e alle altre associazioni che quotidianamente e con costanza portano avanti un lavoro difficile e complesso per supportare le donne nei loro percorsi di uscita dalla violenza. Rivolgersi a questi spazi protetti e non giudicanti serve prima di tutto a riconoscere i segnali della violenza che è spesso la cosa più difficile per le donne che li vivono.
Rivolgiamo poi un invito a tutte le donne: vi invitiamo a vedere la nostra associazione come uno spazio di vita e di incontro fra donne, non solo per coloro che subiscono violenza. Uno spazio per se, non come compagne e mogli, non come madri, ma come donne. E’ solo vivendo questi spazi di solidarietà e di libertà che le donne si possono incontrare e riconoscere i propri desideri e le proprie risorse, possono acquistare uno sguardo nuovo su se stesse che può davvero avviare un cambiamento culturale collettivo e profondo. Ed è creando reti di solidarietà e vicinanza tra donne che possiamo prevenire il pericoloso isolamento in cui spesso le donne che vivono situazioni di violenza si trovano.
Ci rivolgiamo infine agli uomini perché anche loro possono dare un importante contributo a un cambiamento che non è più rinviabile: prendete parola per condannare questi gesti senza mezze misure, riconoscete e disinnescate i piccoli gesti di sessismo quotidiano che sono così frequenti nella nostra cultura, riflettete sulle vostre relazioni affettive, su come vivete la gelosia e la rabbia e chiedetevi se vedete le vostre mogli e compagne solo come tali o anche come persone libere di fare le proprie scelte autonomamente e di vivere la propria vita.
Associazione Le amiche di Mafalda
A Cecina, lunedì scorso ancora una volta una donna è stata ridotta in fin di vita dal marito in modo premeditato e cruento. Nonostante le denunce realizzate e l’attivazione del codice rosso, nessun provvedimento era stato adottato nei confronti dell’aggressore a protezione della donna.
Come associazione che da oltre 10 anni si occupa di sostenere ed accompagnare le donne coinvolte in situazioni di violenza, ci sorprende che nell’articolo pubblicato dal Tirreno in data 20 luglio, si metta in evidenza che l’assenza di provvedimenti a protezione della donna, possa essere legata al fatto che in passato l’uomo non fosse mai stato denunciato e dunque non vi fossero precedenti per maltrattamenti. Tra la prima denuncia e l’aggressione il tempo trascorso era tale da consentire largamente la messa in atto di provvedimenti restrittivi. Inoltre, va sottolineato con forza che una donna che trova il coraggio di denunciare le minacce e le violenze, va ascoltata e protetta.
A due anni dalla approvazione della legge che ha introdotto una corsia veloce e preferenziale per le donne vittime di violenza assistiamo ancora a inerzie e mancanze che gravemente compromettono la sicurezza delle donne e complicano e ostacolano la già difficile scelta di denunciare le violenze subite.
In assenza di provvedimenti tempestivi e adeguati, per le donne che denunciano l’unica scelta possibile appare quella di allontanarsi in tempi rapidi dai loro cari, dalla loro vita, dalle loro abitudini e rifugiarsi in un luogo protetto. Questa scelta radicale non è sempre possibile nei tempi e modi previsti: a livello nazionale i posti in casa rifugio sono molto inferiori alle necessità. Rimane inaccettabile che diventi l’unica possibilità per salvare la vita di una donna.
Associazione Le amiche di Mafalda, Centro di ascolto per donne vittime di violenza, Val di Cecina.
Dopo la forzata interruzione dell’anno scorso dovuta alla pandemia, riprendiamo quella che è diventata una tradizione dei primi di giugno per un’associazione che fa della lotta alla violenza di genere un impegno collettivo, comunitario. Infatti, se il ricordo dei femminicidi che si sono consumati sul nostro territorio rimane doveroso e sempre doloroso, crediamo anche che sia necessario avere uno sguardo positivo e aperto per parlare assieme ed affrontare come comunità la questione della violenza sulle donne. Per noi rimane centrale la felicità delle donne: quando diciamo infatti che “ci vogliamo vive” non ci riferiamo solamente alla parte biologica, ma anche e soprattutto a quella vitalità che caratterizza le persone che vivono una vita in sintonia con i propri desideri e aspirazioni. Ogni donna merita di essere felice, e questo è il regalo più grande che lei possa fare alla sua comunità.
Crediamo che una parte importante di questa felicità si sprigioni quando le donne stanno assieme, e quando lo fanno per un obiettivo che va oltre la loro individualità. Camminare assieme attraverso paesaggi bellissimi quali quelli che questo territorio ci regala, non è solo simbolico del percorrere assieme i sentieri sconnessi e faticosi della consapevolezza, ma è anche fonte di benessere e piacere. Camminando si chiacchiera, ci si scambia racconti ed emozioni, ci si ferma a guardare uno scorcio particolarmente suggestivo e bello. Questo fa del camminare un’esperienza speciale. Quest’anno il cammino sarà particolarmente bello: partendo da Lanciaia, percorreremo un tracciato ad anello nella valle del torrente Pavone, risaliremo attraverso i pascoli verso il borgo di Cerbaiola e proseguiremo verso Montecastelli Pisano, poi giù verso le miniere del Pavone dove, una volta attraversato il corso d’acqua, risaliremo in mezzo alla profumata macchia che cresce sulle ofioliti arrivando nuovamente sulla strada di Lanciaia.
Il percorso sarà di circa 15 km per una durata di 6 ore soste incluse: viene considerato di livello E (escursionistico) per cui è richiesta abitudine a camminare anche in salita e sentieri sconnessi. Invitiamo ad indossare simbolicamente qualcosa di colore rosso.
La camminata è aperta a tutti e tutte. Vi aspettiamo.
Informazioni sul sito web, la pagina FB dell’associazione o al telefono 3894689206.
Ho saputo, ahimè in ritardo, della nuova campagna contro la violenza sulle donne promossa da Asolo con adesione di altri quindici Comuni trevigiani compreso Borso del Grappa, dove io vivo.
Il titolo era promettente, “Facciamo i conti con la violenza”, aberrante è lo svolgimento: la sensibilizzazione avviata punta sull’unico nervo sensibile riconosciuto ai cittadini dai loro amministratori, i soldi. Siccome “la violenza sulle donne costa al sistema dei servizi sociali 424mila euro al giorno”, bisogna evitarla; sennò aumentano le tasse e cala il Pil, capite?, mica per altro. Metti che il costo fosse sostenibile, sui 200-300 mila euro trattabili, o addirittura vantaggioso perché con l’omicidio di donne pensionate l’Inps risparmia e i conti tornano che è una meraviglia, e vien da dire che la violenza è non solo benvenuta ma addirittura auspicabile.
Quanto vale una donna?
È sconvolgente il cinismo di basare la dissuasione dalla violenza sul costi/benefici, come non bastassero i diritti assoluti, costituzionalmente garantiti e che prescindono da qualsiasi valutazione monetaria, a chiudere il discorso. Il diritto al lavoro, per esempio, viene ridicolizzato dalla sottolineatura che le donne pestate, ferite, mutilate perdono di “produttività” e gravano sulle casse pubbliche per “600 mila euro annui”, “la violenza di genere crea quindi un danno ad ognuno di noi, ecco perché è importante agire per la sua eliminazione”. A parte l’infelice utilizzo di termini come “eliminazione” in una campagna anti-violenza, vita, libertà, salute sono qui ridotte a merci da soppesare, quotare, scartare, restituire al mittente se difettose o non convenienti.
Ma si rendono conto sindaci e assessori e consiglieri propalatori del messaggio che la violenza tra umani è uno sfregio alla civiltà, non un deficit di partita doppia più o meno redditizia? E cosa aggiunge in termini di consapevolezza, quindi di mutati comportamenti, sapere che ogni violenza porta con sé un indiretto danno economico? Sbandierare l’addebito all’erario servirà forse a far desistere chi, stalkizzando o
uccidendo, accetta il rischio di farsi dieci anni o la vita intera in prigione? Non servono leggi né conteggi per fermare questo fenomeno, bensì educazione civica, cultura, laicità in vece di religione della coppia, ripudio di quella mentalità affaristica che fa considerare un partner proprietà personale inalienabile e il rapporto affettivo una rendita di posizione, partorendo comunicazioni come “Facciamo i conti con la
violenza”.
Per non dire dello slogan di lancio, in rosa d’ordinanza: “Ogni 15 minuti una Donna è vittima di violenza. Questa Donna potrebbe essere una madre, una sorella, una figlia!” Non è forse già una violenza identificare la donna con un ruolo, perdipiù patriarcale? E chi non ha figli?, può essere impunemente colpita? Ma poi che humor nero involontario: i promotori sembrano ignorare, ecco la beffa, che secondo tutte le
statistiche italiane la violenza sulle donne, a qualsiasi età da loro patita, viene commessa proprio in famiglia, da quel padre, fratello, marito che dovrebbe secondo loro tremare alla prospettiva che l’anno prossimo l’Enel sommi il “contributo femminicidio” al canone Rai, o la bolletta dei rifiuti gli arrivi al doppio perché il rifiuto di una donna di obbedire ha portato un maschio a umiliarla, massacrarla, ucciderla.
Quel maschio è lui, ma ormai non conta più.
Alessandro Zaltron
Autore di Cronache sentimentali e, con Marco Cavalli, di About sex, in uscita per Mondadori
per le Elezioni Amministrative 2019 del Comune di Pomarance, Castelnuovo VC e Volterra. //
Gentile Candidata/o Sindaca/o,
da 10 anni la nostra Associazione si occupa di accompagnare e sostenere donne del territorio dell’Alta Val
di Cecina coinvolte in situazioni di violenza, garantendo loro l’accesso ad uno sportello di ascolto che offre
anche (gratuitamente) consulenza legale e psicoterapeutica. Fin dall’inizio, abbiamo affiancato questa
attività ad interventi che mirassero a svelare, intaccare e a modificare le condizioni culturali alla base della
violenza di genere: il maschilismo imperante e una cultura patriarcale che pervadono le istituzioni
pubbliche così come testimoniato da un linguaggio pubblico e politico violento e razzista, una
disuguaglianza di opportunità lavorative e compensi salariali tra uomini e donne, un’idealizzazione della
famiglia “naturale” intrisa di stereotipi sessisti, solo per citare alcuni esempi. Per questo non abbiamo mai
smesso di organizzare eventi pubblici e attività nelle scuole, sempre in coordinamento con realtà virtuose
culturali e associative presenti nel nostro territorio.
In questo momento di campagna elettorale per le elezioni europee e amministrative, riteniamo importante
ricordare il nostro carattere apartitico, pur ribadendo che siamo un’associazione femminista fortemente
connotata politicamente, dove per politica intendiamo il lavoro quotidiano, creativo, ostinato ed
orizzontale per la trasformazione radicale della società a partire dalla lotta contro la violenza maschile e di
genere e contro le disuguaglianze sociali.
Come rappresentati della società civile, particolarmente attive e sensibili ai temi delle pari opportunità, ci
preme conoscere quali siano i valori che esprimono le liste che rappresentate, e come questi valori possano
estrinsecarsi in orientamenti, strategie e concrete iniziative nel territorio.
In particolare vi chiediamo se nei vostri programmi
1. Esistono iniziative volte a migliorare l’accesso al mercato del lavoro anche della popolazione
femminile (almeno per raggiungere il tasso medio europeo di occupazione femminile del 60% come
emerso dall’Agenda di Lisbona del Consiglio Europeo del 2000) quali ad esempio iniziative e
finanziamenti volti a stimolare e appoggiare l’imprenditoria femminile, progetti pilota per
l’inclusione socio-lavorativa delle donne, misure di conciliazione casa lavoro.
2. Esistono iniziative volte a sostenere percorsi di uscita dalla violenza di genere quali rafforzamento
delle competenze e degli strumenti di coordinamento dei Servizi Sociali territoriali e delle Forze
dell’Ordine, quali promozione e sostegno delle attività congiunte di educazione sessuale e
all’affettività svolte dai consultori.
3. Esiste la volontà politica a (ri)attivare una Commissione Pari Opportunità come organismo
permanente di consultazione all’interno del Comune che permetta lo svolgimento di indagini e
ricerche sui percorsi dell’identità femminile e sulla condizione delle donne sul territorio, e di
elaborare e formulare proposte coerenti con gli obiettivi di uguaglianza e pari opportunità.
4. Esistono iniziative organiche e continuative ancorate al mondo della scuola e della cultura per
favorire la diffusione di una cultura della parità, dell’accoglienza e del rispetto delle differenze.
5. Esistono iniziative volte ad arginare molestie, violenze e discriminazioni di genere nel mondo del
lavoro quali corsi di formazione obbligatori sui luoghi di lavoro, a partire dal Comune, che
coinvolgano le associazioni competenti in materia.
6. Esistono iniziative legate alla comunicazione istituzionale quali l’adozione di Linee Guida per un uso
non sessista della lingua amministrativa, da osservare nelle lettere, nei verbali, nel sito e nella
modulistica prodotti dall’Amministrazione stessa(come già realizzato da diversi Comuni italiani).
Nell’attesa di una vostra risposta, rimaniamo a disposizione per costruire o continuare quel dialogo
necessario tra Amministrazione Comunale e realtà associative del territorio.
Il quotidiano Il Tirreno, in data 28 marzo scorso, pubblica una notizia relativa a una donna di Volterra che, dopo aver chiesto l’intervento delle forze dell’ordine per essere stata aggredita dal marito, è stata accompagnata al Pronto Soccorso da cui poi è stata dimessa in assenza di lesioni fisiche evidenti.
In questo articolo, però, la giornalista non si è limitata a descrivere il fatto di cronaca ma si è spinta anche a commentare l’accaduto. Prima minimizzando l’episodio e riducendolo a “banale lite” senza gravi conseguenze fisiche per la donna coinvolta. Poi mettendo in discussione la versione della donna maltrattata affermando che la veridicità della sua versione sia tutta da dimostrare. Infine, giustificando l’aumento degli episodi di tensione all’interno delle famiglie, perché la quarantena obbligata che molte persone stanno vivendo è motivo di stress e qualcuno può facilmente “perdere la pazienza” e prendersela con i familiari.
Sicuramente l’isolamento forzato favorisce la manifestazione e l’intensificazione di atti violenti dentro alle mura domestiche, ma non per questo tali episodi possono essere descritti come “un segno dei tempi”, suggerendo un’idea di normalità.
La violenza sulle donne non è normale, mai.
Nemmeno durante un’epidemia.
Al contrario, per le donne che subiscono violenze (non necessariamente fisiche ma non per questo meno devastanti), l’isolamento e la convivenza forzata aggravano la condizione di pericolo, mentre diminuiscono le opportunità di sostegno e accompagnamento da parte di Centri Antiviolenza e istituzioni.
Questo modo di fare informazione, il linguaggio utilizzato e il modo in cui i fatti vengono descritti, contribuisce ad alimentare una cultura che giustifica la violenza su donne e minori. Inoltre, contribuisce a sottovalutare e nascondere un problema reale che, dati alla mano, sta mostrando un incremento preoccupante in questi ultimi due mesi.
Chiediamo di usare un linguaggio che non giustifichi e banalizzi la violenza ma, al contrario, che metta in risalto attraverso un’analisi giornalistica corretta, che in tempi difficili come quello attuale la violenza sulle donne, come dimostrato da moltissimi studi e ricerche, non diminuisce. Ha bisogno invece di un’attenzione speciale per la ricerca di soluzioni alternative di supporto e di accompagnamento delle donne che vogliano uscire dalla violenza.
La nostra associazione ha inviato direttamente al direttore del Tirreno questa lettera per segnalare l’articolo.
Perché scioperare il giorno della Festa della donna, il giorno della mimosa, il giorno delle cene spensierate fra amiche?
Perché in Italia una donna su tre tra i 16 e i 70 anni è stata vittima della violenza di un uomo, perché ogni anno vengono uccise circa 200 donne dal marito, dal fidanzato o da un ex, perché un milione e 400 mila donne hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni di età, perché 420 mila donne hanno subito molestie e ricatti sessuali sul posto di lavoro, perché meno della metà delle donne adulte è impiegata nel mercato del lavoro ufficiale e la discriminazione salariale va dal 20 al 40% a seconda delle professioni, perché un terzo delle lavoratrici lascia il lavoro a causa della maternità, perché le donne svolgono gratuitamente e senza alcun tipo di riconoscimento un lavoro di cura della casa, della famiglia, dei parenti ammalati.
Questo sciopero è la risposta a tutte le forme di violenza che sistematicamente colpiscono le vite delle donne, in famiglia, sui posti di lavoro, per strada, negli ospedali, nelle scuole, dentro e fuori i confini.
Noi dell’Associazione Le amiche di Mafalda ci occupiamo da 10 anni di violenza sulle donne nel territorio dell’Alta Val di Cecina, e aderiamo a questo sciopero invitando tutte le donne a farlo assieme a noi. Dobbiamo sostenerci a vicenda e stringere relazioni di solidarietà per ricordare quanto le donne fanno per la vita economica e sociale del paese, senza che questo venga riconosciuto e valorizzato.
Il giorno dello sciopero l’associazione farà un presidio per rendere visibile lo sciopero: siete tutte invitate ad unirvi al presidio.
Nelle 24 ore del giorno 8 marzo 2019, quindi, tutte le lavoratrici sia del pubblico impiego che del privato possono scioperare perché esiste la copertura sindacale generale: si può scioperare anche se nel luogo di lavoro non c’è un sindacato di quelli che hanno indetto lo sciopero e/o indipendentemente dal fatto che una persona sia iscritta o meno a un sindacato.
Per ogni tipo di informazione sulle modalità di adesione allo sciopero, consultare il sito
https://nonunadimeno.wordpress.com/2019/02/16/vademecum-sciopero-2019-come-scioperare-l8-marzo/
La mostra “Com’eri vestita?” organizzata dall’Associazione Le amiche di Mafalda e già ospitata nei locali di Palazzo Ricci lo scorso Febbraio, si sposta a Volterra per tutto il mese di Marzo all’interno dell’Accademia della Musica Città di Volterra.
La mostra racconta storie reali di abusi poste accanto agli abiti che la vittima indossava al momento della violenza subita. “Com’eri vestita?” è una domanda che troppo spesso viene rivolta alle donne che hanno subito una violenza sessuale, domanda che sottintende l’idea – sbagliata – che sia l’abito a provocare la violenza.
L’Accademia della Musica e Cantiere Madaus hanno raccolto con entusiasmo l’invito dell’associazione a diffondere questa mostra che attraverso un’esperienza diretta, ci aiuta a smantellare pregiudizi sulla violenza. Insieme alle allieve e agli allieve, hanno creato con entusiasmo un evento musicale che ruota attorno alla mostra, coinvolgendo giovani musicisti, musiciste, e cantanti per richiamare la cittadinanza a visitare questa mostra. Infatti, il 3 Marzo alle ore 17:00 la mostra sarà inaugurata da un grande concerto delle allieve e degli allievi dell’Accademia della Musica e del Coro di Via I Maggio di Lajatico. Dal giorno successivo, la mostra sarà visitabile dal Lunedì al Venerdì dalle ore 15:00 alle ore 19:00 e aperta anche al mattino per le classi delle scuole che fossero interessate.
L’Associazione Le amiche di Mafalda fin da ora ringrazia l’Accademia della Musica Città di Volterra e Cantiere Madaus per la disponibilità, la creatività e la professionalità mostrate nell’organizzare e realizzare tale evento.
Per informazioni e contatti:
leamichedimafalda@hotmail.it
telefono: 3894689206.
“Com’eri vestita?” è la mostra organizzata dall’Associazione contro la violenza sulle donne “Le amiche di Mafalda”, che racconta storie reali di abusi poste accanto agli abiti che la vittima indossava al momento della violenza subita.
Si tratta di un progetto che nasce nel 2013 da parte di Jen Brockman, direttrice del Centro per la prevenzione e formazione sessuale di Kansas, e di Mary A. Wyandt-Hiebert, responsabile presso il Centro di educazione contro gli stupri dell’Università dell’Arkansas e diffuso in Italia grazie al lavoro dell’Associazione Libere Sinergie che ne propone un adattamento al contesto socio culturale del nostro Paese.
L’idea alla base del lavoro è quella di sensibilizzare il pubblico sul tema della violenza sulle donne e smantellare il pregiudizio che la vittima avrebbe potuto evitare lo stupro se solo avesse indossato abiti meno provocanti. Da qui il titolo emblematico ‘Com’eri vestita?’: un interrogativo che contiene una sfumatura accusatoria e colpevolizzante, sottintendendo “l’essersela un po’ cercata” e ribaltando l’attribuzione della responsabilità non su chi è autore di violenza sessuale, ma su chi la subisce.
I visitatori e le visitatrici possono identificarsi nelle storie narrate e al tempo stesso vedere quanto siano comuni gli abiti che le vittime indossavano.In tale contesto si rendono evidenti gli stereotipi che inducono a pensare che eliminando alcuni indumenti dagli armadi o evitando di indossarli le donne possano automaticamente eliminare la violenza sessuale.
“Non è l’abito che si ha indosso che causa una violenza sessuale – aggiunge Brockman – ma è una persona a causare il danno. Essere in grado di donare serenità alle vittime e suscitare maggiore consapevolezza nel pubblico e nella comunità è la vera motivazione del progetto”.
Le amiche di Mafalda sposano completamente la filosofia della mostra che porteranno a Pomarance a Palazzo Ricci dal 28 Gennaio al 3 Febbraio, e successivamente tutto il mese di Marzo a Volterra presso l’Accademia della Musica, garantendo accesso guidato alle scuole della zona.
La mostra costituisce un’iniziativa nell’ambito del progetto “Spettacolare Alta Val di Cecina” con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra.