A Cecina, lunedì scorso ancora una volta una donna è stata ridotta in fin di vita dal marito in modo premeditato e cruento. Nonostante le denunce realizzate e l’attivazione del codice rosso, nessun provvedimento era stato adottato nei confronti dell’aggressore a protezione della donna.
Come associazione che da oltre 10 anni si occupa di sostenere ed accompagnare le donne coinvolte in situazioni di violenza, ci sorprende che nell’articolo pubblicato dal Tirreno in data 20 luglio, si metta in evidenza che l’assenza di provvedimenti a protezione della donna, possa essere legata al fatto che in passato l’uomo non fosse mai stato denunciato e dunque non vi fossero precedenti per maltrattamenti. Tra la prima denuncia e l’aggressione il tempo trascorso era tale da consentire largamente la messa in atto di provvedimenti restrittivi. Inoltre, va sottolineato con forza che una donna che trova il coraggio di denunciare le minacce e le violenze, va ascoltata e protetta.
A due anni dalla approvazione della legge che ha introdotto una corsia veloce e preferenziale per le donne vittime di violenza assistiamo ancora a inerzie e mancanze che gravemente compromettono la sicurezza delle donne e complicano e ostacolano la già difficile scelta di denunciare le violenze subite.
In assenza di provvedimenti tempestivi e adeguati, per le donne che denunciano l’unica scelta possibile appare quella di allontanarsi in tempi rapidi dai loro cari, dalla loro vita, dalle loro abitudini e rifugiarsi in un luogo protetto. Questa scelta radicale non è sempre possibile nei tempi e modi previsti: a livello nazionale i posti in casa rifugio sono molto inferiori alle necessità. Rimane inaccettabile che diventi l’unica possibilità per salvare la vita di una donna.
Associazione Le amiche di Mafalda, Centro di ascolto per donne vittime di violenza, Val di Cecina.
Lascia un commento