Ho saputo, ahimè in ritardo, della nuova campagna contro la violenza sulle donne promossa da Asolo con adesione di altri quindici Comuni trevigiani compreso Borso del Grappa, dove io vivo.
Il titolo era promettente, “Facciamo i conti con la violenza”, aberrante è lo svolgimento: la sensibilizzazione avviata punta sull’unico nervo sensibile riconosciuto ai cittadini dai loro amministratori, i soldi. Siccome “la violenza sulle donne costa al sistema dei servizi sociali 424mila euro al giorno”, bisogna evitarla; sennò aumentano le tasse e cala il Pil, capite?, mica per altro. Metti che il costo fosse sostenibile, sui 200-300 mila euro trattabili, o addirittura vantaggioso perché con l’omicidio di donne pensionate l’Inps risparmia e i conti tornano che è una meraviglia, e vien da dire che la violenza è non solo benvenuta ma addirittura auspicabile.
Quanto vale una donna?
È sconvolgente il cinismo di basare la dissuasione dalla violenza sul costi/benefici, come non bastassero i diritti assoluti, costituzionalmente garantiti e che prescindono da qualsiasi valutazione monetaria, a chiudere il discorso. Il diritto al lavoro, per esempio, viene ridicolizzato dalla sottolineatura che le donne pestate, ferite, mutilate perdono di “produttività” e gravano sulle casse pubbliche per “600 mila euro annui”, “la violenza di genere crea quindi un danno ad ognuno di noi, ecco perché è importante agire per la sua eliminazione”. A parte l’infelice utilizzo di termini come “eliminazione” in una campagna anti-violenza, vita, libertà, salute sono qui ridotte a merci da soppesare, quotare, scartare, restituire al mittente se difettose o non convenienti.
Ma si rendono conto sindaci e assessori e consiglieri propalatori del messaggio che la violenza tra umani è uno sfregio alla civiltà, non un deficit di partita doppia più o meno redditizia? E cosa aggiunge in termini di consapevolezza, quindi di mutati comportamenti, sapere che ogni violenza porta con sé un indiretto danno economico? Sbandierare l’addebito all’erario servirà forse a far desistere chi, stalkizzando o
uccidendo, accetta il rischio di farsi dieci anni o la vita intera in prigione? Non servono leggi né conteggi per fermare questo fenomeno, bensì educazione civica, cultura, laicità in vece di religione della coppia, ripudio di quella mentalità affaristica che fa considerare un partner proprietà personale inalienabile e il rapporto affettivo una rendita di posizione, partorendo comunicazioni come “Facciamo i conti con la
violenza”.
Per non dire dello slogan di lancio, in rosa d’ordinanza: “Ogni 15 minuti una Donna è vittima di violenza. Questa Donna potrebbe essere una madre, una sorella, una figlia!” Non è forse già una violenza identificare la donna con un ruolo, perdipiù patriarcale? E chi non ha figli?, può essere impunemente colpita? Ma poi che humor nero involontario: i promotori sembrano ignorare, ecco la beffa, che secondo tutte le
statistiche italiane la violenza sulle donne, a qualsiasi età da loro patita, viene commessa proprio in famiglia, da quel padre, fratello, marito che dovrebbe secondo loro tremare alla prospettiva che l’anno prossimo l’Enel sommi il “contributo femminicidio” al canone Rai, o la bolletta dei rifiuti gli arrivi al doppio perché il rifiuto di una donna di obbedire ha portato un maschio a umiliarla, massacrarla, ucciderla.
Quel maschio è lui, ma ormai non conta più.
Alessandro Zaltron
Autore di Cronache sentimentali e, con Marco Cavalli, di About sex, in uscita per Mondadori
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